Per decenni, la tesi dominante è stata che l’acqua di fusione della Groenlandia si sarebbe riversata direttamente negli oceani, facendo aumentare il livello del mare. Un nuovo studio, tuttavia, dimostra che non è così. In realtà, la maggior parte dell’acqua viene ricongelata prima di arrivare a quel punto.
Fonte: Report24.news; Heinz Steiner; 30. settembre 2025
Ironia della sorte, la Groenlandia – a lungo presentata come il drammatico punto di svolta che preannuncia un’imminente apocalisse – si è dimostrata un’ostinata perturbatrice delle aspettative. Una ricerca pubblicata di recente su Nature Communications con il titolo “Greenland ice sheet runoff reduced by meltwater refreezing in bare ice” (Il deflusso della calotta glaciale della Groenlandia è ridotto dal ricongelamento dell’acqua di fusione nel ghiaccio nudo) dimostra che il ghiaccio si comporta in modo molto diverso da quanto previsto dai modelli climatici. Invece di comportarsi come una diga che si rompe e rilascia torrenti in mare, la calotta glaciale assorbe grandi quantità di acqua di fusione, la congela di nuovo di notte e impedisce che raggiunga mai l’oceano. Secondo gli autori, i modelli precedenti erano sbagliati fino al 67%. Gigatonnellate di acqua di fusione, che a lungo si è ipotizzato potessero causare un drammatico innalzamento del livello del mare, sono in realtà intrappolate e ricongelate all’interno della calotta glaciale stessa.
La ragione di questa discrepanza risiede in un’incomprensione fondamentale della struttura del ghiaccio. Nei modelli climatici, il ghiaccio nudo dei ghiacciai è stato trattato come un blocco sigillato e impermeabile, come un piano di lavoro in granito dove ogni goccia scorre via immediatamente. In realtà, la superficie funziona più come una spugna porosa. L’acqua penetra nel ghiaccio, rimane intrappolata e poi si congela di nuovo durante la notte. I ricercatori scrivono: “Si presume spesso che il deflusso che ha origine sul ghiaccio nudo contribuisca interamente e immediatamente all’innalzamento del livello del mare, anche se sempre più prove sul campo indicano una significativa ritenzione dell’acqua di fusione all’interno del ghiaccio stesso”.
Se si guarda alle previsioni climatiche dei decenni passati, si nota uno schema ripetuto di previsioni esagerate. Negli anni ’70, il mondo fu avvertito dell’imminenza di una nuova era glaciale. Negli anni ’80 si sosteneva che le nazioni insulari sarebbero sprofondate sotto il mare entro il 2000. Nel 2007, i maggiori esperti affermavano con sicurezza che l’Artico sarebbe stato libero dai ghiacci entro il 2013. Ora sono passati dodici anni da quella scadenza e il ghiaccio continua a ricoprire le acque intorno al Polo Nord. Tuttavia, i ripetuti fallimenti dei modelli climatici nel fare previsioni accurate penetrano raramente nel dibattito pubblico. Gli economisti, che rivedono regolarmente le loro previsioni di crescita trimestrale, non subiscono alcuna perdita di credibilità – e lo stesso sembra valere per i previsori climatici. Si trovano sempre delle spiegazioni per i motivi del fallimento delle previsioni, ma le affermazioni allarmistiche di base rimangono intatte.
Le nuove scoperte della Groenlandia ci ricordano quanto l’incertezza continui a circondare la cosiddetta “scienza consolidata”. Molte variabili sconosciute offuscano ancora le proiezioni, rendendo i modelli climatici meno affidabili di quanto spesso si pensi. Lo schema rimane lo stesso: ipotizzare sempre il peggio, usare la paura per i titoli dei giornali ed etichettare il tutto come scienza del consenso. Ma la vera scienza è cauta e basata su prove, non sulla retorica allarmistica fatta su misura per l’attenzione dei media.





